Recensione di Valeria Marinaccio
LA RICERCA DELLA FELICITA’ è la prima
pellicola “americana”, per ambientazione e capitali, del giovane regista italiano Gabriele Muccino in trasferta ad Hollywood. Dopo aver diretto “L’Ultimo Bacio” (di cui si è realizzato un remake americano) e “Ricordati
di Me”, è ora alle prese con un film drammatico tratto dalla storia vera di Chris Gardner, un uomo che si ritrova improvvisamente catapultato da una vita “normale” ad una sopravvivenza giornaliera da
“homeless”.
Il protagonista Chris è un brillante venditore in serie difficoltà economiche. Dopo aver perso lavoro e casa, viene abbandonato anche dalla moglie e finisce per occuparsi da solo del piccolo figlio di cinque anni,
Christopher, a cui dovrà provvedere in un momento davvero duro e difficile.
Padre single, sfrattato dal suo appartamento di San Francisco, è costretto a cercare ogni giorno un posto letto in cui dormire e qualche soldo per nutrirsi e soprattutto
per provvedere al suo bambino.
Ma, nonostante le avversità, continua a cercare ostinatamente un impiego migliore e ben retribuito, utilizzando le sue notevoli capacità di venditore. Viene alla fine assunto come praticante presso una
prestigiosa società di consulenza finanziaria e, sebbene sia inizialmente un incarico non retribuito, lo accetta, spinto dall’amore per il figlio e dalla voglia di ritrovare se stesso.
Ed ecco che nel corso della storia fa capolino
anche uno sprazzo di ottimismo e di gioia di vivere.
Il film rispecchia un po’ il classico sogno americano visto con gli occhi “da straniero” di Muccino che, con THE PURSUIT OF HAPPYNESS, si adegua ai canoni del cinema statunitense ma
impone anche quelli del neorealismo italiano, in una storia universale e di ampio respiro.
Protagonista del film è il bravissimo divo di colore Will Smith (“Hitch”,“Men in Black”), la cui recitazione, sempre posata
ed intelligentemente controllata, dà vita ad un personaggio credibile. Accanto a lui, la brava Thandie Newton (“Mission:Impossible II”, “Le Cronache di Riddick”, “L’Assedio”), sua moglie nella pellicola, ed
il piccolo Jaden Smith, figlio dell’attore sia nel film che nella vita, che riescono a rendere bene una storia, a tratti commovente ed a tratti quasi sdolcinata, che tenta di dare un ritratto di una realtà lavorativa estremamente difficile in
America, dove in un batter d’occhio puoi trovarti dall’essere all’apice del successo a perdere tutto. Il film, da questo punto di vista, descrive realisticamente il periodo vissuto dal protagonista, con tutte le difficoltà, le responsabilità
e le ingiustizie della vita che una persona disoccupata e con un figlio a carico può incontrare, pur mantenendo nonostante tutto (e qui che il film scivola) una fede ed una positività incrollabili. Muccino si muove a proprio agio tra le promesse
del mito USA, evidenziando le forti contraddizioni di questo Paese che risulta essere cinico e spietato, ma al tempo stesso generoso, dando il diritto a chiunque di dimostrare il proprio talento.
Lodevole è l’uso che Muccino ha fatto di uno
stile registico “internazionale”, che risulta originale e molto coinvolgente rispetto a quello di molti filmmaker indipendenti del nostro Paese, ma che perde questo tocco magico negli States, dove invece questa risulta essere una pratica molto
comune.
Passaggi di regia e movimenti di macchina, rendono il film coinvolgente, ricco di tensione, davvero poco italiano e molto americano ed in generale ben riuscito. Non di certo un capolavoro, ma un buon film nella media, che ha soprattutto
messo in luce le potenzialità del nostro regista romano che nei suoi film italiani finivano per essere poco sviluppate.